Imitando la natura. La fotosintesi artificiale come fonte energetica

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La fotosintesi è il processo mediante il quale le piante usano l'energia del sole per convertire l'anidride carbonica e l'acqua in carboidrati e ossigeno. Carboidrati sono fatti di carbonio, idrogeno e ossigeno e sono, naturalmente, cibo. L'obiettivo della fotosintesi artificiale non è solo di creare dispositivi e sistemi per imitare la fotosintesi biologica, ma di organizzare il prodotto affinché risponda ai bisogni di energia anziché a quelli alimentari.

La fotosintesi artificiale ha il vantaggio di essere ad emissione zero, perché utilizzando il combustibile ottenuto dal processo, nell’ambiente viene rilasciata la stessa quantità di carbonio assorbita durante la fotosintesi. Perciò, a parte la produzione di energia, spesso è stato suggerito che questo processo sarebbe indispensabile per rimuovere dall’atmosfera l’anidride carbonica in eccesso.

Foglie artificiali, foglie bioniche

L’energia solare tradizionale impiega una cella fotovoltaica per creare elettricità, ma se l’energia non viene immediatamente impiegata deve essere conservata in modo efficiente o viene persa. Questo è un enorme problema. Per contro, il vantaggio della fotosintesi artificiale è che il risultato finale è una sostanza chimica equilibrata che sia idrato di carbonio o altro, che conserva l’energia all’interno dei suoi legami chimici per impiegarla nella produzione di energia quando è necessario.

Chiamate foglie artificiali o bioniche, alcuni di questi strumenti produrranno fonti di alimentazione che possono essere utilizzate direttamente come fonti energetiche per generare, ad esempio, elettricità. Altre produrranno risorse composte che sono fondamentali nei processi industriali. La produzione di questi composti chimici avrebbe, altrimenti, richiesto l’impiego di energia proveniente da altre fonti non derivate da questo processo.

La natura dà una mano

Uno degli aspetti più importanti della fotosintesi artificiale è che questi progetti, per loro natura, sono frutto di collaborazioni tra biologi e fisici. Tutto ciò perché la star dello spettacolo è, di solito, un batterio.

Tramite uno strumento elaborato dal chimico Peidong Yang del Lawrence Berkeley National Laboratory, alcuni fili creati con l’ausilio della nanotecnologia, catturano l’energia solare e la convertono in movimento, in elettroni. I fili proteggono il batterio sensibile agli elementi chimici potenzialmente dannosi presenti nell’aria e il sistema trasferisce gli elettroni al batterio, che così adattato produce l’acido acetico. L’acido acetico è una sostanza chimica ricca di energia, fondamentale in molti processi industriali.

I nanofili sono composti da silicio e ossido di titanio, delle sostanze che assorbono la luce del sole a lunghezze d’onda differenti. Il batterio usato è lo Sporomusa ovata, che ha l’abilità di impiegare gli elettroni per scomporre l’anidride carbonica. In questo caso gli elettroni sono catturati dai nanofili piuttosto che da un organismo biologico.

Nel processo, gli elettroni dei nanofili scompongono l’acqua in molecole di ossigeno e ioni di idrogeno. I batteri, collocati intorno ai fili e isolati dall’atmosfera raccolgono gli elettroni e li aggiungono alla CO2 per costruire il sopracitato acido acetico. Nel passaggio finale si ha una conversione dell’acido acetico in combustibile, come farebbe una pianta, o in altri composti utili. Si ottiene una reazione di diossido di carbonio e acqua, che tramite l’energia solare producono acido acetico e acqua. Nel corso degli anni sono stati compiuti numerosi sforzi per raggiungere tali e simili punti tramite metodi puramente elettrochimici. Nessuno di essi è stato ancora convalidato, e i progressi sono stati possibili solo tramite l’uso di un catalizzatore batterico.

Secondo Yang, il corso di questo progetto raggiunge un’efficienza nella conversione solare minore all’1%, compatibilmente con quello raggiunto dalle piante in natura. Si aspetta di migliorare in breve tempo il progetto ad un’efficienza del 3% e prevede che un’efficienza del 10% sarebbe sufficiente per ottenere un prodotto valido dal punto di vista commerciale. Bisogna anche specificare che, altrove, nanofili simili sono utilizzati nei sistemi solo per generare elettricità in modo simile alla già nota cellula fotovoltaica.

Le industrie biologiche

La fotosintesi artificiale offre altre possibilità interessanti. Alterando il batterio utilizzato, possono essere generati altri elementi chimici diversi dal carboidrato o dall’acido acetico. Oppure l’acido acetico può essere attivamente convertito in acetil-coenzima A (acetil-CoA) grazie alla presenza di altri batteri catalizzatori.

Figura 1: la fotosintesi artificiale condotta al Lawrence Berkeley National Laboratory. (Fonte: Lawrence Berkeley National Laboratory)

L’acetil-CoA è un importante fattore del metabolismo animale e, come mostra la figura sopra, può fungere da punto di partenza nella generazione di molti composti chimici utili.

Tutto ciò apre altre strade alla fotosintesi artificiale. Nel momento in cui diventa un’importante fonte di energia e un importante assorbitore di CO2, la fotosintesi artificiale potrebbe essere utile come fonte di produzione di composti chimici altrimenti difficili da ottenere in modo ecosostenibile.

Nel progetto della foglia artificiale dell'università di Harvard, l'idrogeno allo stato gassoso è immesso in una Ralstonia eutropha geneticamente modificata, un batterio che produce isopropanolo come prodotto finale. L'isopropanolo è un derivato molto interessante, perché può essere utilizzato come combustibile, nello stesso modo in cui è usato l'etanolo.

L'Idrogeno alla Cal Tech

Il metodo utilizzato al Centro per la Fotosintesi artificiale alla Cal Tech, è quello di usare due elettrodi separati, generando una sostanza chimica complessa senza utilizzare idrogeno e ossigeno allo stato gassoso. Un elettrodo assorbe e impiega l'energia raccolta dai raggi solari per scomporre l'acqua in protoni, elettroni e ossigeno allo stato gassoso. L'altro serve a unire gli elettroni e i protoni per creare idrogeno allo stato gassoso. L'unico problema è che questo è lo stesso composto utilizzato per lanciare i razzi nello spazio, quindi, è inutile dirlo, c'è un rischio di esplosione, che è stato però ridotto dopo l'introduzione di una membrana che assicura la separazione dei gas.

Ci sono problemi anche con gli stessi elettrodi, e quello principale è che, quando sono esposti all'acqua, sviluppano una specie di ossido che interferisce con il loro funzionamento. La soluzione è stata quella di impiegare un rivestimento di ossido di nichel che protegge gli elettrodi. La cosa più importante è che il nuovo rivestimento non interferisce con il funzionamento della membrana che tiene separati l'idrogeno e l'ossigeno che sono stati prodotti. Finora, i test hanno rivelato che il sistema così concepito continuerà a funzionare in modo sicuro ed efficiente, senza interruzioni, per diverse centinaia di ore.

Nessuno di questi approcci produrrà un prodotto disponibile al commercio nel prossimo futuro ma il principio è ora comprovato. Sta diventando chiaro che ora abbiamo la possibilità di estrarre grandi quantitativi di energia dai raggi solari e di conservarla in sicurezza e in modo efficiente per utilizzarla quando ce n'è bisogno, quindi è solo una questione di tempo prima che riusciamo ad ottenere un'altra valida alternativa come fonte energetica.

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